La legge provvede all’assenza in Italia dei genitori o di altri adulti legalmente responsabili garantendo la tutela volontaria a chi è minore “non accompagnato”.
Il motivo per cui si inserisce in questo documento una riflessione su questo specifico istituto, introdotto dalla Legge n. 47/2017, deriva dal fatto che, nel panorama delle politiche, esso rappresenta un’importante novità da comprendere e valorizzare.
La tutela può essere concepita in tanti modi diversi: una rappresentanza legale, un supporto per gli adempimenti burocratici, ma anche come un mezzo di orientamento nel nuovo contesto di accoglienza, una vicinanza affettiva o, ancora, una forma di cura e di protezione.
Questa eterogeneità è sicuramente una ricchezza, ma, allo stesso tempo, può essere sinonimo di confusione, di scarso riconoscimento delle figure dei tutori e delle tutrici e di ambiguità rispetto al loro ruolo.
La tutela, infatti, è principalmente un rapporto tra chi la esercita e la persona tutelata. La sua efficacia dipende molto dall’indole dei soggetti, dalla loro disponibilità e dalle circostanze con cui si sono conosciuti.
Tuttavia, anche il ruolo e la regia di altri attori adulti, come la famiglia, i servizi sociali e le comunità d’accoglienza, incidono sui modi in cui questo istituto è esercitato. In particolare, è auspicabile che i servizi e le comunità favoriscano l’incontro dei tutori e delle tutrici con i ragazzi e le ragazze tutelati e con chi lavora come professionista in campo educativo o nella mediazione linguistico-culturale.
Allo stesso modo, la tutela volontaria può essere vista come un riferimento essenziale, su cui i servizi, le comunità e i professionisti possono appoggiarsi quando i minori si trovano in situazioni complesse o poco presidiate. Sembra dunque essere vincente l’azione che combina l’esercizio della tutela legale con una presenza, una vicinanza e un orientamento sul territorio, dove i tutori e le tutrici riescono a garantire momenti di crescita, spazi di ascolto e di mutuo aiuto.
Ciò che gli attori del sistema di governance possono fare per potenziare questo istituto dipende molto da come essi, e la loro rete, sono organizzati a livello locale. Di certo, possono contribuire a potenziare l’istituto della tutela se, a chi la esercita, riescono a offrire la possibilità di essere in relazione con tutta la rete che si occupa di accoglienza e di percorsi di inclusione. Possono, infatti, favorire la creazione di spazi periodici di confronto con i servizi sociali, con le comunità di accoglienza e con chi lavora come professionista, ma anche con le altre istituzioni, come l’Autorità Garante Regionale per l’Infanzia e il Tribunale per i Minorenni, e con le reti spontanee di mutuo-aiuto che si formano tra tutori e tutrici.
Infine, è bene ricordare come l’organizzazione e la promozione di formazioni per aspiranti tutori o tutrici da parte delle autorità garanti, con il supporto di enti locali, di associazioni, di università o dei consigli degli ordini professionali, non solo sono un obbligo previsto dalla Legge n.47/2017, ma anche delle occasioni fondamentali per accedere alle informazioni e alle competenze necessarie per esercitare l’istituto della tutela e per valutare il proprio operato.